Incidenti domestici in agguato

Il fatto di restare a casa crea una sorta di apatia mentale che ci porta a diventare disattenti e poco concentrati su quanto stiamo facendo e questa distrazione può diventare persino fatale.

Giorno dopo giorno ci ritroviamo a ripetere gli stessi gesti, creando una sorta di automatismo che porta immancabilmente a non prestare più la dovuta attenzione a quello che stiamo svolgendo. Coltelli, forbici, persino i coperchi delle pentole possono diventare acerrimi nemici e attentare alla nostra sicurezza.

L’incidente domestico ci attende, aspettando pazientemente quell’attimo in cui la nostra attenzione è rivolta altrove, magari al giorno in cui potremo finalmente uscire di casa senza preoccupazioni. Oppure al momento in cui anche i nostri problemi lavorativi ed economici verranno risolti con un decreto miracoloso.

Oggetti ostili

E mentre siamo lì a rimuginare sul nostro futuro incerto, il coperchio della pentola, fissato all’anta del pensile, decide di svolazzarci in testa, colpendoci con la stessa delicatezza di una mazza usata da un troll rabbioso.

La lavatrice ci inghiotte nel momento stesso in cui decidiamo di aprirla anche se non ha ancora svuotato il suo carico di acqua, in barba ai dispositivi di sicurezza.

Oppure ancora, l’unico alimento a cui siamo allergici finisce “casualmente” in una della nostre pietanze, rischiando di farci arrivare al pronto soccorso con la stessa velocità di un asteroide in caduta libera… non quello che è passato sopra le nostre teste e nemmeno si è accorto della nostra esistenza.

Concentrarsi

Dunque il periodo crea anche queste situazioni, piccoli intoppi che avrebbero però potuto trasformarsi in vere tragedie. Tuttavia, forse un santo in paradiso c’è, quello che si occupa dei “casalinghi” forzati e della loro incolumità all’interno delle mura domestiche.

State attenti, mi raccomando e continuate a mantenere la giusta attenzione in quello che fate. Avrà poca importanza una retrocessione del virus e il cessato pericolo se, nel frattempo, avrete lasciato tutte le dita sotto l’affettatrice elettrica.

 

 

Il silenzio dei giovani

Qualcuno ha fatto caso che in questo periodo, in cui tutti hanno da dire su tutto, le voci della popolazione più giovane, e intendo dei ragazzi dai 15 ai 20 anni, si sentono raramente?

Le varie costrizioni, le limitazioni e le difficoltà che hanno scatenato il web, anche a causa del fatto che, stando tutti a casa, la rete è diventata il mezzo di comunicazione più usato, scambiare opinioni, scatenare dibattiti, arrivando persino agli insulti, sono il nostro passatempo preferito. Quello di noi adulti.

E i ragazzi? Quelli che appunto vanno dai 15 ai 20 anni, dove sono? Perché le loro opinioni compaiono in modo così sporadico e raro? Perché non dicono ciò che pensano di quanto sta accadendo?

I maturandi di questo 2020 saranno sicuramente concentrati su quanto li aspetta per riuscire a superare una maturità confusa, poco organizzata e decisamente rivoluzionaria per i metodi applicati, così diversi da quelli a cui siamo stati abituati per generazioni.

Ma gli altri? Quelli che la maturità non la devono affrontare in questo momento così travagliato, che cosa stanno facendo?

Ce lo siamo chiesto noi adulti? Oppure, come sempre, abbiamo solo guardato sulla superficie delle cose, senza andare realmente a fondo?

Il diritto è di tutti

Non hanno dei diritti solo gli anziani, i cani, i bambini e i “lavoratori”, in realtà ne hanno anche questi ragazzi che in questo momento tacciono e raramente esprimono una propria opinione in merito a tutta la confusione mediatica che si è scatenata sui mass media e in rete.

Ci osservano, cercando di capire dove stiamo andando e cosa stiamo facendo noi, quelli che, in teoria, dovrebbero garantire loro un futuro. In modo silente passano il loro tempo organizzandosi in gruppi di studio, via chat, per riuscire ad affrontare la caotica tecnologia delle lezioni, le interrogazioni e, per quelli di quinta, una conclusione scolastica che li ha già bollati come quelli “del coronavirus”, ovvero come quelli che sicuramente passeranno (con merito o meno) a causa delle oggettive difficoltà organizzative e a causa del modo obsoleto con cui abbiamo affrontato il mondo didattico fino a oggi.

E molti di loro si lamentano di questo fatto, è diventato stretto quell’abito da pseudo fannulloni che abbiamo già cucito loro addosso, arrogandoci il diritto di pensare che questa generazione di maturandi uscirà da scuola senza troppa fatica.

Voci che noi non sentiamo

Eppure fra di loro ne parlano, su Instagram, all’interno delle varie chat che si creano nelle piattaforme dei videogiochi, come la playstation, tanto che altro possono fare? Quindi non vivono su un altro pianeta in cui tutto va bene e non esistono emergenze di alcun tipo. Loro ci sono, sono informati su tutto quello che noi adulti diciamo e cerchiamo di “spacciare” per vero, ci osservano e si chiedono se siamo davvero così maturi come vorremmo far credere.

Tuttavia, alla fine, le loro voci restano racchiuse in quel silenzio che abbiamo creato noi, noi “grandi” che pensiamo di avere tutte le verità in tasca e che, ancora una volta, ci siamo scordati di loro.

Una recensione che non vedrete su Amazon

Amazon ama fare ciò che vuole, dunque questa recensione a Voglio andare all’inferno la vedrete solo qui.

 

di Oliviero Angelo Fuina

Tra i bellissimi libri di Irma Panova Maino che ho avuto il piacere di leggere, questo è tra quelli che più mi è piaciuto maggiormente.

Oltre alla solita penna talentuosa qui ho trovato grandi profondità concettuali e un tratteggio psicologico magistrale del protagonista Kam. Il concetto di premi e punizioni viene amplificato intensamente regalando interessanti spunti riflessivi.

Un libro intimo per le sensazioni quasi organolettiche pur in un contesto inusuale, ovviamente, per ogni lettore. Un romanzo denso, mai banale, con un eccellente ritmo narrativo nonostante l’azione si svolga per la maggior parte del tempo narrativo in un luogo circoscritto.

A tratti mi ha ricordato il miglior Glenn Cooper ma con quel tocco in più tra il nero intenso e il rosa intimo.

Consigliatissimo!

Le Cronache in promozione

Dal 16 al 30 aprile i tre volumi delle Cronache dal Mondo Parallelo sono in promozione su tutti gli store online, in versione digitale.

Per chi ancora non conoscesse la serie, trattasi di romanzi appartenenti al genere Urban Fantasy, ovvero storie ambientate in epoca moderna, inserite in un contesto urbano spesso riconoscibile.

Per maggiori informazioni su trama, personaggi e curiosità varie, non dovete fare altro che cliccare sul bottone corrispondente, al di sotto di ogni libro.

Buona lettura

Questo è il tempo

Oggi, 23 marzo 2020, un giorno prima del mio cinquantaseiesimo compleanno. Un giorno che, come altri che lo hanno preceduto in questo ultimo mese, resterà ammantato dal silenzio.

Sono solo circostanze, situazioni che nessuno avrebbe potuto prevedere ma che portano comunque a una sorta di pausa forzata interiore. Ognuno di noi farà i conti con sé stesso, a prescindere da tutto e da chi avrà accanto.

Forse non avremmo voluto che accadesse, forse avremmo preferito continuare a procedere per la nostra strada senza curarci del suolo che stavamo calpestando. Tuttavia è successo e questo periodo della nostra vita non potrà essere affrontato nel consueto modo con cui siamo abituati a interagire con il quotidiano. Spesso in modo approssimativo, sbrigativo, talvolta superficiale.

Non ci è più concesso mantenere le nostre finzioni intatte, non possiamo più credere che tutto proceda per il meglio, nonostante le rovine evidenti che ci circondano. La nostra vita è lì, a portata di mano, pronta per essere analizzata sotto la lente impietosa del microscopio umano.

L’unica cosa che ormai importa è il “chi realmente siamo”, senza più maschere, fronzoli o coperture intessute ad hoc, per nascondere le debolezze, i desideri, le tentazioni e tutte le altre amenità che di solito forniscono un alibi alle nostre mancanze.

Tutto ciò che è accaduto, è avvenuto senza alcun preavviso, senza che ci fosse stata data la possibilità di preparare adeguatamente il nostro spirito a dover affrontare noi stessi. Ebbene, approfittiamone.

Questo è il tempo per fare chiarezza, per capire cosa conta realmente nell’esistenza umana; per scrollarci di dosso tutti quegli orpelli inutili che la società ci impone per farci sembrare migliori, anche se non lo siamo.

Questo è il tempo per imparare a cogliere l’essenza di chi ci sta intorno, partendo proprio da noi stessi, da quel nucleo di sincerità estrema che si crea quando tutte le altre illusioni si disperdono in una realtà oggettiva.

Questo è il tempo per ricominciare a capire il linguaggio umano, quello fatto di gesti, sguardi e sorrisi; ed è il tempo per ricostruire la parte più vera di ciò che abbiamo lasciato languire nel nostro animo, troppo occupati a rincorrere un benessere che ora ci viene negato.

La mente è l’arma più potente di cui ogni essere umano è dotato, non lasciamo che sia solo la negatività a utilizzarla, non cadiamo nell’errore di pensare che non esista altro che la noia, l’inedia e la solitudine.

Esiste ben altro e ognuno di noi deve trovarlo nel proprio animo.

© 2020 di Irma Panova Maino

Voglio andare all’inferno

Voglio andare all’inferno non è un libro facile. Non lo è stato scriverlo e potrebbe non esserlo leggerlo. 

Provate a immaginare cosa voglia dire cercare di immedesimarsi in qualcuno a cui piace seviziare e uccidere un altro essere umano; cosa posso significare tentare di mettere insieme un comportamento che sia logico, per quanto deviato, e dare corpo a un personaggio così poco amabile. Perché diciamocelo, Kam è tutto meno che simpatico e, francamente, ci sono stati momenti in cui lo avrei preso a calci negli stinchi anch’io.

Si può simpatizzare per Kam?

Di solito un autore tende ad amare i propri personaggi, li vizia, li coccola, li fa apparire sempre nella prospettiva migliore. Cerca di farli diventare degli eroi, sono quelli “buoni”, quelli che salvano la fanciulla intrappolata… non che l’ammazzano senza ritegno tutti i santi giorni. Perché è questo quello che fa il nostro Kam: uccide la sua Sirianna quotidianamente.

Dunque, com’è possibile cercare di simpatizzare con un essere simile? E in quale modo si può dare un’attenuante a ciò che fa, creando una situazione che possa poi giustificare tutto?

Come è nata l’idea

A essere onesta non so nemmeno da dove mi sia saltata fuori questa idea… questa volta Tolkien&co sono del tutto innocenti. Se ripercorro le varie fasi, alla fine non riesco comunque ad arrivare al bandolo della matassa. Una mattina mi sono svegliata e nella mia testa si è formulato il quesito: cosa accadrebbe se avessimo la certezza di non venire puniti per qualsiasi nefandezza commessa?

Ecco, credo che tutto sia partito da lì, probabilmente ero arrabbiata con qualcuno e avevo passato qualche giorno a pregustare l’idea di poter applicare le più terribili torture sul soggetto in questione. Il bello è che non mi ricordo nemmeno chi fosse il soggetto di tanto feroce accanimento, però sicuramente è stata la molla che ha fatto partire tutto il resto. Ed è venuto fuori Kam, con le sue ossessioni, i suoi desideri innominabili e le sue pulsioni perverse.

Non me ne vogliate… l’ho sempre detto che non sono così buona come sembra…

Luci di Natale

Solo luci
e tanti inutili colori

Sfilano i festoni
con il loro messaggio scontato

Invogliano
verso qualcosa che non esiste

E dentro nel mio animo
le tinte sfumano

fino a sbiadire

© 2019 di Irma Panova Maino

Villa Boccaccini

I ricordi, soprattutto quelli legati a fatti violenti, restano impressi nello spazio e nel tempo, come fotografie che per sempre rimarranno a gravitare in un dato luogo. Realtà paradossali che fluttuano solitarie nell’etere, a stretto contatto con la nostra realtà, ma che rimangono nascoste fino a quando qualcuno non trova il varco per passare da una dimensione all’altra. Questi personaggi vengono definiti medium, sensitivi, persone in grado di percepire quella soglia che divide i mondi e che sono, talvolta, in grado di trovare la chiave giusta per aprire una porta che, spesso, andrebbe invece lasciata chiusa.

Ed è di Villa Boccaccini che vi voglio parlare, di una notte del 1980 in cui un gruppetto di adolescenti decise di prodursi in una classica bravata di fine estate: dimostrare di avere coraggio, a dispetto delle leggende e delle dicerie locali.

Villa Boccaccini sorge in quel di Comacchio, in prossimità di Lido degli Scacchi ed è raggiungibile attraverso la via Romea. Oggi è un vecchio rudere tenuto insieme dalle radici degli alberi e sostenuto da rami che penetrano in ogni crepa. Allora non versava in condizioni ottimali, era già stata oggetto di vandali e saccheggiatori, diventando meta di tossicodipendenti e rifugiati clandestini di ogni genere.

Tuttavia, nel 1980 conservava un fascino non solo dettato dal fatto che fosse indicata come la location in cui era stato girato il famoso film di Pupi Avati, “La casa dalle finestre che ridono”, ma per quelle voci che la bollavano come una casa maledetta e infestata dai fantasmi. Dunque, il gruppetto di ragazzi che si accingeva a passarvi qualche ora in piena notte, non si poteva considerare coraggioso, ma solo incosciente.

Furono molti gli strani accadimenti che si manifestarono quella notte, ma il più simbolico di tutti fu quella soglia che venne aperta nello spazio e nel tempo e che rivelò l’orrido contenuto della casa e la maledizione celata. Un anatema che dal 1800 colpiva la famiglia Boccaccini e che ancora oggi non ha del tutto esaurito i suoi strascichi nefasti. Furono diversi i componenti giovani della famiglia a decedere in giovane età e in circostanze alquanto dubbie, ma la capostipite di tale orrore vagava ancora fra quelle rovine, gridando giustizia.

E fu questo, quello che scoprirono i ragazzi in quella notte del 1980. Questa la presenza che infestò la vita di un paio di loro per alcuni mesi, tormentandoli anche quando furono tornati nelle proprie città, una volta terminate le vacanze.

La storia narrava come il vecchio Conte divenne un folle a causa della fuga della figlia, la quale, non potendosi separare dal giovane amante plebeo, il giardiniere in questo caso, scappò in una notte di luna piena, abbandonando il padre e la casa natia. Il Conte venne emarginato dalla buona società Ferrarese e morì solo e dimenticato in quella villa silenziosa. Tuttavia, ciò che invece i ragazzi videro quella notte fu una tragedia del tutto diversa.

Fotogrammi di un duplice omicidio sfilarono davanti ai loro occhi, riversandosi fuori da quella soglia che una seduta spiritica, eseguita per burla, aveva invece spalancato sulla loro realtà. Il giovane amante della contessina venne massacrato senza pietà e a colpi di mannaia dal padre di lei e il cadavere venne murato, insieme alla fanciulla, ancora viva e paralizzata dall’orrore, all’interno di una rientranza del muro perimetrale.

Solo nel gennaio del 1981, quando un’improvvisa nevicata fece crollare una parte del muro e gli scheletri vennero finalmente alla luce, il fantasma della contessina smise di tormentare i giovani che avevano osato varcare la soglia fra i due mondi.

© 2015 di Irma Panova Maino

Una luce brilla

“Guarda! Là! Brilla ancora!” Vassili si rivolse a Max indicandogli un puntino molto lontano che, quasi per miracolo, si poteva scorgere dall’oblò. L’altro uomo fluttuò verso il collega, cercando di non andare a sbattere contro le paratie imbottite della navicella.

Per qualche istante strizzò gli occhi, sentendo la delusione montargli dentro, poi, non appena ebbe finalmente inquadrato la zona che ancora gli indicava l’amico, finalmente riuscì a scorgere quella capocchia luminosa che da quasi due giorni continuavano a vedere. Nessuno di loro sapeva che diavolo era accaduto sulla terra, nemmeno le altre navette orbitanti, intorno al globo, avevano ricevuto notizie ed erano ormai più di sei mesi che si ritrovavano nello spazio, senza avere alcun ragguaglio. Il silenzio era stato improvviso e totale.

Le comunicazioni si erano interrotte e si erano ritrovati abbandonati nello spazio, senza avere la più pallida idea di cosa sarebbe stato di loro. E la terra, punto di riferimento, sempre illuminata da miriadi di luci, era apparsa buia e desolata.

Diverse aree si erano spente all’improvviso, come se una mano gigantesca avesse tolto un’enorme spina da un’altrettanto enorme presa e tutto era piombato nel buio e nel silenzio. Alcuni luoghi erano rimasti accesi per le 24 ore successive, ma poi nessuna luce si era più riaccesa. Ed ora eccola, quella tenue luminescenza che pareva splendere in mezzo alle tenebre, lontana e remota, eppure così ricca di speranza.

Vassili e Max erano sopravvissuti solo grazie alle rispettive volontà, caparbi e incredibilmente attaccati alla vita, non si erano lasciati sopraffare dal senso di claustrofobia che aveva colpito gli altri due membri della navicella spaziale. Sarah e Pierre, un giorno, senza avvisare nessuno, erano semplicemente usciti per quella che sarebbe stata una passeggiata eterna.

Max aveva cercato di convincerli a non staccare i cavi di sicurezza che li tenevano ancorati, ma non era stato ascoltato e quando Vassili si era ripreso dallo shock, non era restato loro altro da fare che cercare di organizzare uno stato di emergenza, conteggiando i viveri, l’acqua e le fonti di energia. Se dalla terra nessuno era più in grado di rispondere o di interagire con loro… chissà quanto tempo avrebbero dovuto passare lassù, nello spazio, in attesa.

Ma quella luce, quel puntino luminoso, che proprio alla vigilia di Natale aveva preso a brillare, dava a loro qualche speranza. Forse non tutto era perduto.

* * *

“Non fare spegnere il falò! Guai a te!”
“No mamma…”
“E gira bene la nonna, che deve cuocere a puntino!”

© 2015 di Irma Panova Maino

Sole

Lei era lì, pigramente distesa sotto il sole, a crogiolarsi per quell’attimo di pace inatteso. La lettera, che stringeva ancora in mano, non era altro che la risposta a una sua missiva spedita un paio di settimane prima e quella stessa missiva recava con sé una speranza che in quel momento era diventata realtà.

Gli aveva alla fine scritto, aveva confessato ciò che provava, dandogli modo di diventare consapevole dei sentimenti che agitavano il suo animo. E mentre cambiava posizione sul lettino, a bordo della piscina, distendendosi a pancia in sotto, la mente ripercorse le righe scritte di getto e con l’emozione che ancora le faceva tremare la mano.

“Mio caro,
questa mia la dedico a te e a quello che l’ultima volta è intercorso fra di noi. TI penso e ricordo, sento il sapore della tua pelle e la pressione delle tue mani. La memoria ha ben impresso quell’attimo in cui mi hai resa eterna, donandomi per sempre il calore del dei tuoi sentimenti.
Quindi è per questo che ora ti invio questi miei versi, per darti la misura di quanto io mi sia sentita amata e desiderata; di quanto la prospettiva della mia esistenza sia cambiata alla sola idea di poterla condividere con te.

Danzano le fiamme
Nella notte senza luna
È l’incendio
Che congiunge gli amanti
È il pericolo
Che li rende eterni

Il pericolo lo abbiamo affrontato e sconfitto, rendendoci complici in quello che era il nostro gioco di sguardi e carezze furtive, rubate in momenti in cui nulla avrebbe dovuto turbare gli equilibri. E ora io so, ho saputo, che nulla può ostacolare ulteriormente ciò che proviamo l’uno per l’altra. So, perché ho visto in fondo al mio cuore, che non sfuggirò più al mio destino, ricoprendo quanto ci è dovuto con timori e dubbi.
Attendo solo una tua risposta, un tuo cenno che verrai a reclamare ciò che è già tuo. Con amore infinito.”

Questo era il tenore di quella missiva. La trepidazione che l’aveva colta, mentre attendeva con ansia la risposta dell’uomo della sua vita, l’aveva portata a essere frenetica, quasi isterica, incontrollabile.

Nulla l’aveva soddisfatta nei giorni precedenti e nulla sembrava placare il suo animo in tumulto, il timore che fosse ormai troppo tardi le aveva attanagliato le viscere, portandola a un’inappetenza forzata. Tuttavia, ora che finalmente la risposta era arrivata, la pace era scesa sul suo animo, portandola a distendersi su quel lettino sotto il sole cocente, alla ricerca di quel calore che le era venuto a mancare per giorni.

Si tolse gli occhiali da sole graduati, che le avevano permesso di leggere la lettera e si cosparse il viso con della crema per prevenire le scottature, quindi, lasciandosi andare, si rilassò dando modo alla mente di vagare libera, libera di poter sognare.

E mentre la tensione finalmente lasciava le sue membra, portandola verso un mondo onirico nel quale ricongiungersi anticipatamente con l’amato, il sonno la trascinò via, cullandola nella meravigliosa idea di un futuro ormai roseo.

Non avrebbe potuto accorgersi del raggio di sole che, filtrando attraverso la lente dell’occhiale, andava a colpire ripetutamente l’angolo sfilacciato dell’asciugamano in fibre naturali di cocco e cotone. Non avrebbe nemmeno potuto presagire ciò che quel raggio era in grado di fare e come, un fattore così benevolo, potesse trasformarsi in qualcosa di così orrido.

L’incendio divampò all’improvviso, senza lasciare tregua e senza dare scampo, cancellando in un mucchio di cenere ogni speranza.

© 2015 di Irma Panova Maino

Schiuma

Sento le bollicine schiudersi sulla superficie del derma, dandomi la sensazione carezzevole di essere sfiorata da mille mani. Mille dita compiacenti che mi toccano appena, rotolando lievi.

Microscopiche mani che si insinuano ovunque, rilasciando la fragranza dell’essenza racchiusa nella schiuma, profumando l’aria fino a coinvolgere i miei sensi in notti esotiche, ricche di piaceri infiniti.

Nuvole eteree che galleggiano sull’acqua coprendo ogni cosa, ogni imperfezione, ogni segno, ogni possibile anomalia, vera o presunta che sia.
Un mare infinito di bianco candore iridescente che scoppietta felice, cercando il contatto con la pelle, incollandosi a essa, sollecitandola, stuzzicandola, rendendola più sensibile.

E il desiderio per quella consistenza effimera diventa un bisogno acuto, quasi un’ossessiva ricerca di quella solidità che non c’è e che porta al sospiro, alla rassegnazione.

La schiuma scivola avanti e indietro seguendo l’ondeggiare del corpo, riempiendo gli spazi con il bianco occhieggiare delle bollicine minuscole, continuando a scoppiettare allegra, senza portare quella soddisfazione che l’animo anela.

Il soffio delicato le spinge via, facendole librare nell’aria per quell’attimo necessario affinché si vedano in tutta la loro magnifica mancanza di essenza, come fiocchi di neve che scendono lievi dalle coltri spesse e dense di nuvole cariche di suggestione.

Esco, decido di andarmene dalla massa che ancora mi attira a sé, lasciando che scie di denso candore scorrano lungo il corpo, continuando a sfiorarmi la pelle.

Per un momento rimango incantata, inseguendo la coda di queste piccole comete palpitanti godendomi ancora la sensazione che sanno procurami, senza altro pensiero che non sia vederle sciogliersi verso la propria distruzione.

E segretamente gioisco, crudele e malvagia, considerando che non hanno fatto altro che servirmi, procurandomi esattamente le sensazioni che ricercavo, persino la frustrazione.

Mi avete servito bene, piccole perle, avete compiuto il vostro dovere e ora liberatemi della vostra presenza, così che io non debba passare la prossima mezz’ora a liberare la vasca dalla vostra consistenza.

E mentre afferro con indifferenza l’asciugamano, ormai dimentica dell’oasi di piacere di cui ho appena goduto, uno sbuffo dispettoso, rimasto inaspettatamente aggrappato ai capelli, scivola sul viso, finendo direttamente nell’occhio.

La vendetta si compie con quell’unico inconsistente fiocco di schiuma. La rivalsa del niente contro colei che, ingrata, ha goduto senza dare.

© 2015 di Irma Panova Maino

La stanza

Eppure avrei dovuto essere sola.
Non avrei dovuto avere compagnia di alcun genere e la scommessa avrebbe dovuto pormi in questa stanza, al buio, con me stessa come unica persona presente, resistendo nell’oscurità per 48 ore filate.

Allora perché sento il respiro? Quel lieve ansimare che fa drizzare i peli sul collo e m’increspa la pelle?

Ho chiamato, allungato le mani nel tentativo di afferrare quel qualcosa che ho sentito sempre alle mie spalle. Ho cercato e supplicato, ma l’unica cosa che continuo ancora a percepire è quel respiro che non mi da tregua. E pare sollecitarmi a rispondere, a comprendere la sua esistenza. Tuttavia non so come fare, non so come avere quel minimo di luce che mi permetterebbe di vedere, di dare una forma a questa sorta di inquietudine.

Non saprei nemmeno dire se mi spaventa o se semplicemente mi preoccupa, ma vero è che non dovrebbe esserci. In un primo momento avevo pensato a uno spiffero, un refolo d’aria che penetrava attraverso qualche spiraglio che non era stato sigillato a dovere, ma non ho trovato nulla che potesse avvalorare la mia tesi. Sicuramente, non è una corrente.

Il mio istinto lo sa. Intuisce che qualcosa continua a muoversi alle mie spalle, respirando su di esse, lasciando che le mie orecchie colgano quel rumore così lieve da essere a malapena percepito.

Il mio istinto mi ammonisce, m’intima di non voltarmi, di non cercare la fonte e l’origine del respiro. In alcune culture, avvertire una presenza alle spalle rappresenta la consistenza della Morte che annuncia la tua ora ed essa diviene concreta nel momento in cui ti volgi per soddisfare la curiosità.
Così come la moglie di Lot, che venne trasformata in una statua di sale nel momento in cui volle vedere che cosa stava capitando alla sua amata Sodoma, così avverto la necessità di non indagare troppo a fondo.

Eppure questa cosa respira e respira ancora.

* * *

“Accidenti, ma come diavolo è morta? I produttori mi avevano assicurato che non c’era pericolo!”

L’uomo, responsabile di quell’insolito reality, si volse verso l’assistente picchiettando con decisione un dito sul monitor, il quale trasmetteva l’immagine di una stanza completamente illuminata, in cui era stata ospitata la protagonista dello show fino alla sua improvvisa dipartita.

“Com’è morta? Che cazzo ne so! Ma ha smesso di respirare!”

© 2015 di Irma Panova Maino