Ero io il cacciatore

Mio era l’onere. Mie le sensazioni. La scelta era ricaduta istintiva, complice, naturale…

Sentivo la preda. Era confusa, incerta, lacera… Ed era l’odore del sangue che mi aveva condotta a lei. Quel timore manifesto, la frenesia, la ferita ancora aperta…

Perfetta. Era perfetta per la mia fame. Perfetta per il desiderio di carne e sangue, di possesso e conquista. Per la mia caccia.
Come una belva, trattenuta troppo a lungo, mi sono avventata, incauta, bramosa, cogliendo quell’attimo in cui la distrazione è divenuta fatale. Quel sentore pungente e accattivante del suo strazio ha scatenato i miei sensi, riducendoli in cenere, annientando ogni precauzione, ogni istinto venatorio, ogni regola così faticosamente segnata sulla propria pelle e sulle proprie ferite.

Fame. Nient’altro che cieca e sorda fame incontenibile, richiamata da quei fremiti guizzanti sotto una pelle pronta per essere lacerata, squarciata, dilaniata…

Zanne gocciolanti saliva e artigli protesi fino allo spasimo, occhi ardenti e famelici, concentrati per cogliere ogni sfumatura, ogni possibile tentativo di fuga… ero pronta.
Pronta per la mia preda.

E lei mi ha colto. Attanagliato e avvinghiato nel suo strazio, portandomi a fondo con lei, annegandomi in quel dolore infinito che pareva non avere confini né limiti.

Quanto potevo ancora ferire un animo così devastato? E quanta sofferenza potevo ancora infliggere, restando insensibile?

Porto la catena della mia scelta. Porto il collare che mi ha reso consapevole e volontariamente parte di una follia che non rinnego.

E questo peso, dolce per la verità, placa la mia fame, sazia il mio bisogno, lasciandomi nell’attesa di vedere comparire di nuovo la mia preda.

© 2015 di Irma Panova Maino

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canstockphoto7061855Mio era l’onere. Mie le sensazioni. La scelta era ricaduta istintiva, complice, naturale…

Sentivo la preda. Era confusa, incerta, lacera… Ed era l’odore del sangue che mi aveva condotta a lei. Quel timore manifesto, la frenesia, la ferita ancora aperta…

Perfetta. Era perfetta per la mia fame. Perfetta per il desiderio di carne e sangue, di possesso e conquista. Per la mia caccia.
Come una belva, trattenuta troppo a lungo, mi sono avventata, incauta, bramosa, cogliendo quell’attimo in cui la distrazione è divenuta fatale. Quel sentore pungente e accattivante del suo strazio ha scatenato i miei sensi, riducendoli in cenere, annientando ogni precauzione, ogni istinto venatorio, ogni regola così faticosamente segnata sulla propria pelle e sulle proprie ferite.

Fame. Nient’altro che cieca e sorda fame incontenibile, richiamata da quei fremiti guizzanti sotto una pelle pronta per essere lacerata, squarciata, dilaniata…

Zanne gocciolanti saliva e artigli protesi fino allo spasimo, occhi ardenti e famelici, concentrati per cogliere ogni sfumatura, ogni possibile tentativo di fuga… ero pronta.
Pronta per la mia preda.

E lei mi ha colto. Attanagliato e avvinghiato nel suo strazio, portandomi a fondo con lei, annegandomi in quel dolore infinito che pareva non avere confini né limiti.

Quanto potevo ancora ferire un animo così devastato? E quanta sofferenza potevo ancora infliggere, restando insensibile?

Porto la catena della mia scelta. Porto il collare che mi ha reso consapevole e volontariamente parte di una follia che non rinnego.

E questo peso, dolce per la verità, placa la mia fame, sazia il mio bisogno, lasciandomi nell’attesa di vedere comparire di nuovo la mia preda.

© 2015 di Irma Panova Maino

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