La lama

Racconto tratto da 7 giorni di follie. Vincitore dell’evento di giugno.

La prima volta che toccai una lama ebbi un fremito e non nego nemmeno che fosse di piacere. Non so quale mancato istinto di conservazione mi spinse a prendere in mano un coltello, ma non appena lo afferrai, per il manico ovviamente, provai l’irrefrenabile desiderio di passare i polpastrelli sulla lama. Acciaio, freddo, cromato, affilato… mi tagliai.

Ed era abbastanza logico immaginare che non sarebbe potuta andare diversamente, data l’inesperienza nel maneggiare un attrezzo pericoloso. Istintivamente appoggiai la lama sulla ferita, percependo il contrasto fra il calore del sangue e il gelo del metallo, quella sensazione mi diede un sollievo che non pensavo potesse esistere.

Nulla era riuscito a farmi provare un’emozione del genere. Nulla avrebbe potuto emulare quel turbamento dato da quel primo incontro. Non era stato il taglio in sé, non il bruciore o l’imbarazzante inadeguatezza nel rendermi consapevole del fatto che non ero avvezzo ai coltelli, era stata quella meravigliosa sensazione d’onnipotenza che mi aveva colto nel comprendere le reali potenzialità di quel mio nuovo gelido alleato. Nessun rimorso, nessun pentimento, solo il freddo lavoro di lama. Come una distesa artica, poteva donare bellezza nonostante la desolazione polare, una bellezza eterna, libera dagli schemi preconcetti e da qualsiasi limite dato dalla concezione umana.

Nonostante i cerotti, provai nuovamente a “sentire” sotto le dita la sensazione che il metallo donava ai miei sensi… e mi tagliai di nuovo. Non potevo resistere, non potevo esimermi dal toccare quella parte che continuava a baluginare dentro i miei occhi, arrivando direttamente ad accarezzarmi l’anima. Dovevo poter sentire quanto fosse fredda, quanto potesse essere pronta a soddisfare ogni mio oscuro desiderio.

E la punta… ah la punta è riuscita quasi a procurarmi un orgasmo. Sottile, dura, gelata e invitante! Pareva quasi la catarsi del mio esistere, la purificazione del modo inutile in cui trascorrevo le mie giornate, senza capo né coda. Per quanto potesse essere freddo il materiale, riusciva in ogni caso a scaldarmi il cuore, a pormi in quella condizione d’estasi in cui la realtà svaniva lasciando il posto alla fantasia.

E allora accarezzavo la lama gelida, ormai attento a non procurarmi nuove ferite, lasciando che il tatto godesse di quella mancanza di calore, mancanza di vita, mancanza di rotondità. Solo freddo e duro metallo, pronto per far scaturire nuova linfa, attingendo da altre fonti e reclamando ciò che non avrebbe mai potuto essere: vivo e caldo.

Forse è per questo che amo le lame, perché sono come me, perché sulle loro superfici si riflettono le perversioni umane, la colpevolezza degli uomini. Forse è per questo che gioco con le lame, perché attraverso la loro freddezza sanno donare colore e calore.

Per sempre vostro, Jack

© 2015 di Irma Panova Maino

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La lama

la lama

Racconto tratto da 7 giorni di follie. Vincitore dell’evento di giugno.

La prima volta che toccai una lama ebbi un fremito e non nego nemmeno che fosse di piacere. Non so quale mancato istinto di conservazione mi spinse a prendere in mano un coltello, ma non appena lo afferrai, per il manico ovviamente, provai l’irrefrenabile desiderio di passare i polpastrelli sulla lama. Acciaio, freddo, cromato, affilato… mi tagliai.

Ed era abbastanza logico immaginare che non sarebbe potuta andare diversamente, data l’inesperienza nel maneggiare un attrezzo pericoloso. Istintivamente appoggiai la lama sulla ferita, percependo il contrasto fra il calore del sangue e il gelo del metallo, quella sensazione mi diede un sollievo che non pensavo potesse esistere.

Nulla era riuscito a farmi provare un’emozione del genere. Nulla avrebbe potuto emulare quel turbamento dato da quel primo incontro. Non era stato il taglio in sé, non il bruciore o l’imbarazzante inadeguatezza nel rendermi consapevole del fatto che non ero avvezzo ai coltelli, era stata quella meravigliosa sensazione d’onnipotenza che mi aveva colto nel comprendere le reali potenzialità di quel mio nuovo gelido alleato. Nessun rimorso, nessun pentimento, solo il freddo lavoro di lama. Come una distesa artica, poteva donare bellezza nonostante la desolazione polare, una bellezza eterna, libera dagli schemi preconcetti e da qualsiasi limite dato dalla concezione umana.

Nonostante i cerotti, provai nuovamente a “sentire” sotto le dita la sensazione che il metallo donava ai miei sensi… e mi tagliai di nuovo. Non potevo resistere, non potevo esimermi dal toccare quella parte che continuava a baluginare dentro i miei occhi, arrivando direttamente ad accarezzarmi l’anima. Dovevo poter sentire quanto fosse fredda, quanto potesse essere pronta a soddisfare ogni mio oscuro desiderio.

E la punta… ah la punta è riuscita quasi a procurarmi un orgasmo. Sottile, dura, gelata e invitante! Pareva quasi la catarsi del mio esistere, la purificazione del modo inutile in cui trascorrevo le mie giornate, senza capo né coda. Per quanto potesse essere freddo il materiale, riusciva in ogni caso a scaldarmi il cuore, a pormi in quella condizione d’estasi in cui la realtà svaniva lasciando il posto alla fantasia.

E allora accarezzavo la lama gelida, ormai attento a non procurarmi nuove ferite, lasciando che il tatto godesse di quella mancanza di calore, mancanza di vita, mancanza di rotondità. Solo freddo e duro metallo, pronto per far scaturire nuova linfa, attingendo da altre fonti e reclamando ciò che non avrebbe mai potuto essere: vivo e caldo.

Forse è per questo che amo le lame, perché sono come me, perché sulle loro superfici si riflettono le perversioni umane, la colpevolezza degli uomini. Forse è per questo che gioco con le lame, perché attraverso la loro freddezza sanno donare colore e calore.

Per sempre vostro, Jack

© 2015 di Irma Panova Maino

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