Il nulla

Nasceva dal buio marasma del nulla. Un niente infinito che non sarebbe mai esistito se non vi fosse stato quel pensiero costante che, ogni notte, andava prendendo consistenza all’interno dei sogni.

Un sottile filamento che, attorcigliandosi su sé stesso, filo dopo filo, diventava ogni giorno più spesso e consistente. Una sorta di fune onirica che legava i pensieri a quell’unico nucleo, nutrendolo con la stessa sostanza incorporea di cui erano fatti i sogni. Un concetto che, da misero barlume iniziale, stava diventando sempre più solido e tangibile a causa delle frustrazioni e delle privazioni che venivano rinfocolate a ogni sogno infranto.

Il tutto era partito da un desiderio, da una necessità irrefrenabile che colmava l’inconscio d’insoddisfazioni, restando comunque ben celata nell’ancora avverso mondo reale. Un bisogno che veniva costantemente negato, dal momento che sarebbe stato inopportuno e controproducente, ma che non avrebbe potuto restare ignorato ancora per molto, non con quel legame che s’inspessiva, strattonando la coscienza ogni qual volta una frase, un gesto, una ricorrenza venivano dimenticati o elusi.

Persino le singole parole iniziarono ad alimentare quel “niente”, ogni più piccola sfumatura venne vagliata, soppesata e alla fine data in pasto alla sempre più famelica esigenza che il “nulla” aveva di palesarsi. Alla fine, anche i silenzi divennero un nutrimento sufficiente. Silenzi pesanti e solidi come macigni, talmente tanto corporei da affaticare il respiro.

Il “niente” valicò i confini del mondo onirico risvegliando istinti assopiti da tempo, stirò le rattrappite membra verso quella presa di coscienza luminosa che gli offriva nuovo sostentamento e mosse i primi passi verso l’orgoglio affranto.

Ed ecco che, ciò che si era a lungo celato nei meandri inconsistenti delle fasi REM, prese il sopravvento scuotendo la mente con vigore, fino a che i frutti non cominciarono a piombare verso il terreno con tonfi destinati a riverberare lungo tutto l’essere, espandendosi oltre i confini materiali dell’IO.

Il refolo d’aria, che a lungo aveva cullato la coscienza nelle notti caliginose e insonni, divenne prima vento e poi tempesta, arrivando a spazzare via ogni convinzione e ogni convenzione fino a quel momento riconosciuta. Il mondo onirico era diventato un luogo troppo ristretto per quella necessità impellente, una prigione soffocante che non poteva più contenere quel bisogno di libertà che la vita stessa imponeva, rifiutando con orrore l’inedia e la rassegnazione.

Il “nulla” divenne finalmente ciò che era destinato a essere fin dal principio, assunse la proprio identità con orgoglio e impose al mondo reale la propria ingombrante presenza, radendo al suolo le barricate poste dalle consuetudini radicate di un’esistenza spesa nel torpore e costruite da chi non poteva reggere al cambiamento.

E quando i testimoni, attoniti, gli chiesero il suo nome, cercando di ritrovare un equilibrio in quell’anarchia improvvisa, il nulla rispose con un sussurro gelido:

“Chiamami… Consapevolezza”.

© 2015 di Irma Panova Maino

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Il nulla

Il nullaNasceva dal buio marasma del nulla. Un niente infinito che non sarebbe mai esistito se non vi fosse stato quel pensiero costante che, ogni notte, andava prendendo consistenza all’interno dei sogni.

Un sottile filamento che, attorcigliandosi su sé stesso, filo dopo filo, diventava ogni giorno più spesso e consistente. Una sorta di fune onirica che legava i pensieri a quell’unico nucleo, nutrendolo con la stessa sostanza incorporea di cui erano fatti i sogni. Un concetto che, da misero barlume iniziale, stava diventando sempre più solido e tangibile a causa delle frustrazioni e delle privazioni che venivano rinfocolate a ogni sogno infranto.

Il tutto era partito da un desiderio, da una necessità irrefrenabile che colmava l’inconscio d’insoddisfazioni, restando comunque ben celata nell’ancora avverso mondo reale. Un bisogno che veniva costantemente negato, dal momento che sarebbe stato inopportuno e controproducente, ma che non avrebbe potuto restare ignorato ancora per molto, non con quel legame che s’inspessiva, strattonando la coscienza ogni qual volta una frase, un gesto, una ricorrenza venivano dimenticati o elusi.

Persino le singole parole iniziarono ad alimentare quel “niente”, ogni più piccola sfumatura venne vagliata, soppesata e alla fine data in pasto alla sempre più famelica esigenza che il “nulla” aveva di palesarsi. Alla fine, anche i silenzi divennero un nutrimento sufficiente. Silenzi pesanti e solidi come macigni, talmente tanto corporei da affaticare il respiro.

Il “niente” valicò i confini del mondo onirico risvegliando istinti assopiti da tempo, stirò le rattrappite membra verso quella presa di coscienza luminosa che gli offriva nuovo sostentamento e mosse i primi passi verso l’orgoglio affranto.

Ed ecco che, ciò che si era a lungo celato nei meandri inconsistenti delle fasi REM, prese il sopravvento scuotendo la mente con vigore, fino a che i frutti non cominciarono a piombare verso il terreno con tonfi destinati a riverberare lungo tutto l’essere, espandendosi oltre i confini materiali dell’IO.

Il refolo d’aria, che a lungo aveva cullato la coscienza nelle notti caliginose e insonni, divenne prima vento e poi tempesta, arrivando a spazzare via ogni convinzione e ogni convenzione fino a quel momento riconosciuta. Il mondo onirico era diventato un luogo troppo ristretto per quella necessità impellente, una prigione soffocante che non poteva più contenere quel bisogno di libertà che la vita stessa imponeva, rifiutando con orrore l’inedia e la rassegnazione.

Il “nulla” divenne finalmente ciò che era destinato a essere fin dal principio, assunse la proprio identità con orgoglio e impose al mondo reale la propria ingombrante presenza, radendo al suolo le barricate poste dalle consuetudini radicate di un’esistenza spesa nel torpore e costruite da chi non poteva reggere al cambiamento.

E quando i testimoni, attoniti, gli chiesero il suo nome, cercando di ritrovare un equilibrio in quell’anarchia improvvisa, il nulla rispose con un sussurro gelido:

“Chiamami… Consapevolezza”.

© 2015 di Irma Panova Maino

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