Inatteso

Sfogliavo le pagine di facebook pigramente, lasciandomi pervadere da una velata noia, cercavo qualche nuova bacheca in cui poter pubblicare la copertina del mio nuovo libro e quelle che trovavo le avevo già visitate più volte. Sbuffai.

Niente di nuovo, niente che non abbia già visto ed abbia già percorso e, mentre giocherellavo, curiosando fra le pagine preferite da altri, improvvisamente un nome solleticò la mia curiosità: la rivista dell’immortale. Senza nemmeno rendermene conto volai attraverso il web e mi ritrovai ad osservare con attenzione la pagina dedicata al nominativo che avevo visto.

Ehi! Pensai animandomi all’improvviso. Una rivista dedicata al settore, specializzata nel genere che trattavo nei miei romanzi: il sovrannaturale. Personalmente ero un’appassionata scrittrice di racconti basati su vampiri e licantropi, ma avevo anche spaziato nel mondo dei demoni e degli elfi, tuttavia succhiasangue e palle di pelo erano ancora i miei protagonisti preferiti, attratta com’ero stata, fin da piccola, da quella loro natura selvatica e dominante. Ovviamente sapevo che le mie erano solo le fantasie di un’adolescente, che se l’era portate dietro fin nell’età adulta, ma sognare non era ancora proibito e lasciare correre la fantasia nemmeno. Quella rivista faceva al caso mio!

Senza pensarci due volte lasciai un messaggio in bacheca, in cui chiedevo se mi fosse stato possibile pubblicizzare il mio libro tramite loro. Non sapevo chi c’era dietro quella pagina e per non sbagliare avevo utilizzato il plurale. Una volta compiuto il mio dovere auto promozionale, mi rilassai sul divano e ricominciai a vagare nel social network, dimenticandomi per il momento della scoperta. Era tardi, l’ultima volta che avevo guardato l’orario erano le due passate di notte, quindi non mi aspettavo davvero che qualcuno rispondesse in modo così tempestivo e quando apparve il segnale che m’indicava che era appena arrivato un messaggio pubblico, rimasi piuttosto sorpresa. Chi diavolo era sveglio a quell’ora? A parte me, naturalmente. Qualcuno della rivista mi aveva appena risposto che era ben lieto di pubblicare il nostro libro.

Nostro? Pensavo che si stesse sbagliando, ma il messaggio successivo, questa volta privato, mi lasciò piuttosto perplessa. Il personaggio che mi stava rispondendo e che aveva creato un proprio identificativo, firmandosi appunto l’Immortale, mi chiedeva informazioni più specifiche sul mio libro, dal momento che intendeva inserirlo nel prossimo numero della rivista. Il tutto condito con un voi piuttosto arcaico. Rimasi a fissare il computer per qualche secondo, senza riuscire a decidermi se ridere o prenderlo per matto. Alla fine, la necessità di trovare nuovi sbocchi in cui riuscire a pubblicizzarmi ebbe la meglio.

Così gli risposi. Gli diedi tutte le informazioni che mi aveva chiesto e dal più confidenziale tu, che si usa normalmente, ero già passata ad un più educato lei. Ma non era ancora sufficiente, mi accorsi, nella risposta successiva, di essere passata anch’io ad un voi arcaico. Ci scambiammo vari messaggi in cui decantavo comunque la rivista, dal momento che la trovavo veramente interessante, chiedendogli informazioni in merito alla prossima uscita, alle scelte editoriali e la possibilità di essere mantenuta aggiornata in merito. Mi rispose sempre con una cortesia trattenuta, appena accennata, mai fuori dalle righe, mai inopportuno. Gentile quanto bastava per farmi capire che era discretamente contento che qualcuno s’interessasse, ma mai entusiasta per aver acquisito un nuovo lettore.

Tuttavia mi piacque. Mi piacque quella discrezione, quella continua pacatezza che traspariva così evidente dal modo di scrivere, dalla scelta delle parole, dalla costruzione delle frasi. Non un punto esclamativo, niente faccine anche quando lo avevo fatto sorridere, piuttosto aveva messo fra due asterischi la parola sorride, per indicarmi che era rimasto compiaciuto… insomma nulla di quell’euforia, a volte esagerata, che normalmente sottolineava i discorsi fatti in rete. Alla fine, quando ci salutammo, erano già passate le tre.

Caspita, così tardi?! Stavo già per ricominciare a girovagare per il web, quando giunse un nuovo messaggio abbinato alla rivista che avevo in effetti condiviso sulla mia bacheca, da parte di un altro nottambulo che, come me, evidentemente non riusciva a prendere sonno. Questi mi chiedeva chi diavolo fosse l’Immortale. A grandi linee tentai di spiegarlo, ma mi resi subito conto che era fiato sprecato, tanto il personaggio non avrebbe capito ed io non avevo alcuna voglia di lanciarmi in divagazioni inutili e solo perché lui era insonne. Con mia grande sorpresa mi giunse un nuovo messaggio privato, proprio dall’Immortale in persona. Aveva seguito lo scambio di battute che era intercorso fra me ed il Nottambulo e mi stava fornendo delle spiegazioni che non era assolutamente tenuto a dare. Nel giro di pochi minuti ci scambiammo delle impressioni che allinearono in qualche modo il mio punto di vista con il suo… o il contrario, non avrei saputo dirlo, ma improvvisamente avvertii una strana affinità con quel personaggio, una strana empatia positiva che mi spingeva a voler comunicare ancora.

Mi chiese perché scrivevo di vampiri ed io tentai di spiegargli che ero sempre rimasta affascinata dalle creature , fin dalla più tenera età. Cercai di fargli capire la sensazione di struggente perdita che aveva provocato in me il Nosferatu di Klaus Kinski, oppure la dannazione del Dracula interpretato Gary Oldman, oppure ancora la triste sensualità di quello interpretato da un giovane Frank Langella, tentai di esprimere la mia totale ed incondizionata solidarietà per una creatura privata del proprio diritto di vivere e morire. Mi chiese se mi piacevano anche i licantropi nello stesso modo, ed io obbiettai che il licantropo era molto più terreno, molto più vitale nelle proprie scelte, più selvaticamente erotico proprio per il lato animale che scatenava fantasie proibite, ma nulla aveva a che vedere con il desiderio struggente del vampiro verso la vita. Passammo le successive due ore senza nemmeno renderci conto dello scorrere del tempo e poi, d’un tratto, mi chiese scusa, mi disse che aveva ancora del lavoro da fare e, salutandomi con una cortesia infinita, mi diede la buonanotte e chiuse le comunicazioni. Per tutto il tempo avevamo comunicato mantenendo intatto quel voi che mi aveva così colpita all’inizio.

Il giorno dopo andai a curiosare nel suo profilo e lo scoprii subito blindato, non vi era alcun accesso alle sue informazioni personali e la pagina dedicata alla rivista, riportava informazioni inerenti la pubblicazione e nient’altro che potesse richiamare qualcosa di più indicativo. Rilessi quanto avevamo scritto quella notte e mi resi conto di provare un brivido piacevole nel leggere le sue domande e le sue risposte, ad un certo punto aveva persino iniziato a lasciarsi andare, regalandomi qualche stralcio di sottile umorismo, sempre appena accennato. Fu quasi con gioia che accolsi il suo messaggio serale, in cui mi chiedeva come stavo. Gli risposi subito, rendendomi conto che non avevo atteso altro per tutta la giornata. E quando iniziò ad avvicinarsi l’alba e lui mi salutò di nuovo, sempre mantenendo quel riserbo che gli era tipico, mi accorsi, rileggendo nuovamente la conversazione, che gli avevo praticamente raccontato la storia della mia vita. Passo dopo passo, era riuscito a farmi dire più di quanto io avessi mai svelato ad un perfetto estraneo, oltretutto in chat.

C’era da premettere che odiavo le chat, odiavo tutti i social network e odiavo tutto quanto portava la gente a comunicare esclusivamente attraverso una tastiera ed un monitor anonimo. Mi erano sempre piaciuti i rapporti diretti, in cui le espressioni vocali avevano la stessa fondamentale importanza della tonalità con cui venivano pronunciate. L’interazione personale dava modo di capire, al di là della conversazione pura, ciò che realmente l’interlocutore ambiva condividere. Bastava un cenno con le mani, una tensione delle spalle, un irrigidimento dei muscoli facciali, vi erano tante indicazioni puramente fisiche, che completavano la comunicazione stessa, che non potevano in nessun modo trasparire dal monitor. Tuttavia, nonostante questo, ciò che ci eravamo scritti trasmetteva delle sensazioni molto vivide, molto reali. Emozioni che scaturivano da ogni frase, dalle parole accurate e da quel voi che improvvisamente era diventato più intimo e coinvolgente di un tu più spartano.

La terza sera rimasi profondamente delusa, non mi mandò alcun messaggio e quando tentai, con una scusa banale, di comunicare con lui, non ottenni risposta. Tutto pareva tacere e quella tastiera rimase praticamente inerme per tutta la notte. Non risposi agli inviti degli amici a conversare, non girai da nessuna parte, non feci nulla se non rimanere con la pagina aperta sulla chat privata, con la speranza di scorgere un cenno da parte del mio personaggio misterioso che si firmava l’Immortale. Lessi e rilessi quanto avevamo scritto fino a quel momento e man mano che procedevo nella lettura, mi divenne sempre più evidente il fatto che lui si esprimeva senza alcuna fatica, in quel modo arcaico che mi era ormai così famigliare. Come se non avesse fatto altro per tutta la vita, che utilizzare certi termini vetusti e costruire le frasi con uno stile quasi medioevale. Non c’era alcuna incertezza, alcuna titubanza. Ricordavo alcuni passaggi in cui io avevo impiegato un certo tempo nel dover rispondere, dal momento che alcuni concetti, tipicamente moderni, non trovavano un facile riscontro nel doverli esprimere con metodi più antichi. Come avrei potuto esternare un concetto come: viviamo nella merda e speriamo che la crisi finanziaria venga superata velocemente, prima di fare la fine della Concordia?   

Come, dovendo utilizzare uno stile dantesco? Quando alla fine ero riuscita a mettere insieme alcune frasi, che mi parvero piuttosto buone, quanto meno da un punto di vista stilistico, lui mi rispose immediatamente, nel giro di pochi secondi, riuscendo a disquisire sul fatto che la nostra precisa epoca storica, travagliata e ricca d’incertezze, poteva portare solo ad ulteriori tensioni, le quali sarebbero sfociate in un malessere incontenibile. Ma solo rileggendo dopo il tutto, capii queste sottigliezze, questo suo modo di procedere spedito, su un terreno che era davvero congeniale a pochi. Se non fosse sembrato assurdo, avrei detto che le sue abituali espressioni nascevano proprio dall’utilizzo costante e continuo di un lessico ricercato, ma fuori dai tempi. Mi chiedevo se andasse dal salumiere e ordinasse due etti di prosciutto con lo stesso tono, ma probabilmente, forse, uno come lui non andava nemmeno dal salumiere, mandava qualcun altro.

Dunque arrivai alle sei del mattino totalmente insoddisfatta e profondamente delusa dal fatto che non si fosse fatto vivo, che non avesse scritto nemmeno una virgola e quell’amarezza divenne ulteriormente fastidiosa nel momento stesso in cui mi accorsi di quanto ero irritata per il suo silenzio. La mia rabbia si alimentava da sola. Cercai di dormire, ma ero talmente furibonda da non riuscire a trovare il rilassamento necessario per lasciarmi andare al sonno, mi giravo e rigiravo nel letto, tentando di scacciare i pensieri molesti e tentando soprattutto di non pensare alle motivazioni che lo avevano spinto a disertare la chat. Prima di venire finalmente abbracciata da Morfeo, riuscii comunque a formulare un pensiero ancora più molesto.

Com’era stato possibile che fossi diventata dipendente da uno schermo? Io che avevo sempre odiato quel mondo virtuale, in cui ognuno si nascondeva dietro all’anonimato fornito proprio dal mezzo di comunicazione, in cui ogni faccetta racchiusa nei quadratini dei profili poteva nascondere lo psicopatico di turno, come avevo potuto lasciarmi coinvolgere in quel modo? Che diavolo stavo facendo? Ma non ebbi risposte, non riuscii a darmele dal momento che piombai in un sonno agitato, confuso, ricco di incongruenze e personaggi folli.

Ciò che mi destò fu il suono del mio cellulare, il quale m’indicava che era arrivato un messaggio per me su facebook . Brontolando sottovoce scivolai fuori dal letto, cercando di non inciampare nelle coperte che mi si erano avvolte intorno, durante il sonno e sempre brontolando gettai un’occhiata astiosa al portatile che mi guardava beffardo dalla sua postazione al centro del tavolo. Vivere in un monolocale aveva decisamente i suoi vantaggi, tutto era a portata di mano e non era necessario fare i chilometri per raggiungere il bagno in caso di necessità urgenti. Mentre andavo a darmi una sciacquata alla faccia, non mi resi subito conto del fatto che il portatile era acceso, mi ero addormentata intorno alle sei del mattino, mi ero svegliata che fuori era già buio, quindi avevo dormito tutto il giorno e in tutto quel tempo il portatile avrebbe dovuto spegnersi ed entrare in modalità standby. Presi appunto della stranezza solo quando, sotto la doccia, improvvisamente la consapevolezza mi fulminò il cervello. Non era possibile, qualcosa non stava andando per il verso giusto!

Mi sciacquai rapidamente e nel giro di pochi secondi fui davanti a quel monitor che continuava ad osservarmi con aria sarcastica. Le icone dei messaggi lampeggiavano malefiche, riportandomi allo stato d’animo irritabile della mattina. Per un momento mi venne voglia di non aprire la tendina che avrebbe rivelato chi era colui che mi aveva cercata, per un momento rimasi lì, immobile, con il dito sospeso sopra il mouse, indecisa se togliermi ogni velleità o se farmi venire nuovi dubbi. Istintivamente gettai un’occhiata alle mie spalle per assicurarmi che fosse veramente buio e quando diedi finalmente uno sguardo all’ora, scoprii, e non senza un certo stupore, che erano quasi le dieci di sera. Il dito finalmente diede la giusta pressione alla leva che fece scattare il tasto sinistro del mouse a la tendina scese, aprendosi su quanti mi avevano cercato. Ben ventisette messaggi riempivano tutto il monitor e di quei ventisette, dieci erano dell’Immortale.

Non mi sedetti nemmeno, in piedi davanti alla scrivania, iniziai a farli scorrere febbrilmente, pervasa da una strana eccitazione. Mi sentivo lo stomaco annodarsi e dipanarsi nuovamente per poi tornare a torcersi in preda a spasmi incontenibili. Mi sentii come una scolaretta alla prima cotta, in preda alle prime pulsioni adolescenziali. Non riuscivo nemmeno a stare ferma e continuavo a spostare il peso da un piede e l’altro, tentando di scaricare in qualche modo la tensione. Cielo! Possibile mai che dovessi sentirmi come un’idiota?

Idiota o meno, divorai famelica tutto quello che mi aveva scritto, cercando di frenare la curiosità che mi spingeva a saltare a piè pari le parole, per raggiungere il messaggio conclusivo. Mi sentivo incontenibile, esageratamente sensibile ad ogni virgola. Tuttavia le sue comunicazioni erano sempre pacate, sempre misurate e sempre velate con quella sottile ironia che avevo imparato a riconoscere. Aveva iniziato col scusarsi per la defezione della sera precedente ed aveva tentato di spiegarmi, in modo alquanto generico, che alcuni impegni improvvisi lo avevano costretto a rimanere lontano dal suo appuntamento serale con me.

Appuntamento? Era questo, quello che avevamo? Da quando? Tuttavia mentivo a me stessa, anch’io ormai lo avevo considerato alla stessa stregua di un appuntamento, con la stessa serietà con cui si prendeva un impegno classico. Le successive comunicazioni vertevano più che altro sulle mie mancate risposte e via, via che procedeva, il tono diventava più laconico e sintetico. L’ultimo messaggio si limitava ad un punto in una stringa vuota, come ad indicare che aveva esaurito le sollecitazioni con cui mi pregava di rispondere e le scuse con cui aveva tentato di giustificare la sua assenza. Ora toccava a me. Era mio il compito di riannodare quel filo che si stava sciogliendo a causa del mio silenzio.

Capii, senza bisogno di spiegazioni, che da come avessi risposto, avrei dato una svolta a quel rapporto singolare, decretandone la metamorfosi. Era fin troppo evidente che non poteva più rimanere lo stesso, che entrambi, in qualche modo, ci eravamo impegnati a stabilire un contatto serale, uno scambio emotivo di pareri che non avevano fatto altro che intrecciare quel sottile filo che ci univa. Quindi cosa rispondere? Come fargli capire che ero irritata senza cadere nel ridicolo? Digitai semplicemente: “scuse accettate.”

Quindi levai l’accappatoio che nel frattempo si era infradiciato e, gettando continue occhiate al monitor, m’infilai al volo una maglietta che a malapena mi copriva le natiche nude. Pochi istanti dopo giunse la sua risposta:

“Pensavamo di avervi persa ed era intollerabile un simile tormento.”

Il cuore mancò un colpo. Parve fermarsi e ripartire con uno scatto accelerato che mi costrinse a portare una mano al petto, per timore che volesse saltare fuori dalla cassa toracica. Dio! Sembrava tanto una dichiarazione. Gli risposi che non era colpa mia se si era fatto inghiottire dalle ombre della notte e la sua successiva osservazione mi procurò un altro brivido. Mi chiese se avessi paura delle ombre. Dissi di no, quanto meno, normalmente no.

“E dei vampiri?”

Rimasi a guardare la domanda che risaltava sullo schermo, tentando di capire dove volesse arrivare. Alla fine negai anche questa opzione. Non potevo aver paura dei vampiri, li avevo sempre adorati, persino amati. Avevo tifato per loro nei film quando, alla fine, l’eroe di turno riusciva sempre a sterminarli. Come potevo provare timore per un qualcosa che aveva il potere di suscitare in me emozioni così forti?

“Siete sicura, mia dolce anima gentile, di non temere l’oscurità delle ombre e ciò che vi è celato?” Che razza di domanda era? Certo che ne ero sicura! Tuttavia iniziai ad innervosirmi, a chiedermi seriamente la motivazione di tutte quelle domande all’apparenza prive di senso.

“Mia signora, vi ho forse basito?” Certo che sì, ma non lo avrei ammesso, quanto meno non a lui. Inspirai forte per farmi coraggio e finalmente risposi: “Non ho paura dei vampiri. Nemmeno delle ombre!” E a voce alta aggiunsi un insulto, che serviva più che altro ad esorcizzare l’inquietudine che improvvisamente aveva iniziato a serpeggiarmi lungo la schiena.

“Tuttavia…”  Tuttavia cosa? Perché non terminava la frase? Lo scrissi utilizzando un linguaggio più appropriato, mantenendo uno stile simile al suo. “Siate meno criptico, in modo che io possa comprendere e possa darvi una risposta adeguata.” Per un momento parve non accadere nulla, abituata ormai com’ero a vederlo rispondere subito, quella pausa mi piacque poco.

“Tuttavia… il vostro abbigliamento discinto, scatena fantasie torbide.”

Inutile descrivere il gelo che sgretolò le mie ossa. Inutile tentare di spiegare lo scatto che compii voltandomi per vedere chi o che cosa avessi alle spalle. Ed ancora più inutile rivelare ciò che vi trovai.

© 2015 di Irma Panova Maino

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