Incipit

1 – Rennahel

Camminava a passi lunghi e veloci, fendendo la nebbia con la stessa precisione letale di un coltello. Sbuffi di vapore si formavano al suo passaggio e, ricompattandosi dietro di lui, lasciavano quasi una scia visibile. I suoi passi risuonavano sul selciato duro e reso scivoloso dall’umidità, scandendo quel suo andare spedito che faceva svolazzare le code del lungo trench in pelle, come se fosse stato mosso da un vento impetuoso. Era in ritardo.

La sua cara Tell odiava i ritardi, quindi il suo animo si stava già predisponendo alla reprimenda che avrebbe dovuto sopportare non appena fosse arrivato a casa. Poco importava se lei lo attendeva al caldo, nell’appartamento di cui le aveva dato le chiavi tempo addietro, lei non si sarebbe lasciata scappare l’occasione per rimproverargli, ancora una volta, le mancanze di cui lo accusava fin troppo spesso. Tuttavia Tellera, oltre ad essere la sua amante, era anche una buona amica a prescindere da qualsiasi altra considerazione ed era forse questo, l’unico motivo per il quale lui tollerava quel suo modo di fare, a volte indisponente e dispotico.

Perso com’era nelle proprie considerazioni, non si rese subito conto del grugnito soffocato che provenne da una delle viuzze laterali appena sorpassate. Fece ancora un paio di passi, poi rallentò fino a fermarsi del tutto. Le sue orecchie sensibili assorbirono i rumori intorno a lui, captando nuovamente quel verso, sempre più simile ad un grido strozzato e soffocato dentro qualcosa.

Un grido? Possibile?

Ren girò la testa nella direzione del suono, rendendosi conto degli altri rumori che accompagnavano quel verso. Fruscii, tonfi, un gemito…

Una lotta silenziosa, concitata e decisamente violenta. Per quanto violento possa essere un qualcosa condotto con un così parco spreco di suoni. Guardò il grosso Panerai che si adattava perfettamente al suo polso e scosse la testa indispettito, una sosta, anche solo per verificare che cosa stesse accadendo, lo avrebbe fatto ritardare ulteriormente. Eppure non si mosse. Non diede retta al proprio istinto che, in quel momento, gli imponeva di badare ai fatti propri e di pensare ai problemi che già si era procurato, senza aggiungerne degli altri. Tornò meccanicamente indietro e questa volta le sue scarpe, prodotte con dell’autentico cuoio italiano, scivolarono silenziose sul selciato, facendolo muovere con la stessa grazia felina di un gatto. Provava uno strano stato d’ansia, come se fosse stato in pena per quanto stava accadendo, benché non ne sapesse assolutamente nulla. Arrivò all’imboccatura del vicolo e lasciò che i suoi occhi si adattassero alla penombra: possedeva una vista che non avrebbe avuto alcuna difficoltà a penetrare tra le ombre e trovare la fonte del suo disagio. Ed in effetti li vide. Vide tre uomini chini su un fagotto raggomitolato sul terreno gelido. Uno dei tre mollò la presa, si raddrizzò e sferrò un calcio in quella cosa indefinibile, la quale emise un altro gemito, chiaramente distinguibile ora che, evidentemente, nulla le impediva di potersi esprimere. Tuttavia, il fatto che l’essere non fosse in grado di andare al di là di quel verso inarticolato, la diceva lunga sullo stato pietoso in cui la cosa versava e sul fatto che non fosse un animale. Non un gatto, o un cane…

Nessun animale avrebbe potuto produrre un suono così umano.

Ren venne spinto in avanti da un istinto che spesso lo aveva dominato e che spesso lo aveva condotto al rimprovero da parte di suo padre, quando questi era ancora in vita. L’essere stato un giovane impulsivo e battagliero, non lo aveva di certo aiutato nella sua adolescenza sofferta e non gli aveva fatto guadagnare il diritto di occupare il posto del padre, all’interno della Cerchia degli Anziani. Nonostante le sue nobili origini ed il suo sangue estremamente puro, il carattere ribelle ed espansivo gli aveva reso un pessimo servizio a suo tempo, almeno fino a quando non aveva imparato a dominarsi e a nascondere l’irrefrenabile fuoco che covava dentro, ormai costantemente celato dietro ad una maschera di glaciale indifferenza. Ed era stato premiato per quel suo nuovo modo di fare scostante, impenetrabile e totalmente controllato. Questo, era quello che si aspettavano da lui, quel modo consono di porsi di fronte ai propri simili, quel fare spocchioso ed arrogante, tratto così tipico per quelli della sua razza. Ren si era adeguato dovendo sopravvivere all’interno del proprio clan e, passata la fase adolescenziale, non aveva potuto fare altro che ripercorrere i sentieri tracciati dal padre. Tuttavia, in quel preciso momento, in lui prevalse quell’istinto che aveva tentato di soffocare in ogni modo. Lo avvolse in una calda rabbia corroborante e lo portò direttamente ad azzannare quei pochi metri che lo separavano dalla tragedia, con una determinazione tale da sorprendere persino gli aggressori.

Lo sentirono più che vederlo.

Avvertirono più che altro la sua presenza, sotto forma di una nube argentata carica di una furia a malapena trattenuta. Non sarebbe stato possibile altrimenti. Non captarono il rumore inesistente delle sue scarpe sul terreno, ma avvertirono la sua rabbia. Schizzarono in piedi tutti e tre e tutti e tre si voltarono contemporaneamente, assumendo istintivamente una posa combattiva. E Ren li vide con chiarezza, come se fossero stati abbagliati da una luce improvvisa. Vide ciò che erano, scatenando ulteriormente la sua ira. Le lunghe zanne sporgevano dal labbro superiore, accarezzando inquietanti quello inferiore, socchiuso ed imbrattato da quello che doveva essere sangue. I grossi corpi erano tesi e pronti, con le unghie ricurve esposte per intimorirlo. Soffiarono nella sua direzione con fare feroce sperando di riuscire ad intimidirlo, in modo che se ne andasse lasciandoli al loro divertimento aberrante. Chiunque fosse stato steso per terra era un’evidente vittima di un gioco perverso, il cui esito era tutt’altro che rassicurante.

“Che vuoi umano? Vattene se non vuoi fare una brutta fine!” lo apostrofò uno dei tre, sporgendosi con fare teatrale verso di lui, tentando di scoraggiarlo e di convincerlo per una veloce ritirata.

Vampiri! Ren chiuse le porte ad ogni altro stato emotivo che non fosse la sola ira. Vampiri!

Poteva odiarli solo per ciò che erano e per ciò che rappresentavano, non aveva alcuna necessità di ulteriori motivazioni. Rimase fermo dov’era ed un ghigno sardonico gli distorse le labbra.

”Umano? Osi chiamarmi umano? Non sei solo feccia, oltremodo sei anche stupido!” Fece un passo avanti mentre un leggero chiarore iniziò ad avvolgerlo come un manto fluorescente, spandendo sottili strie luminose tutt’intorno.

Umano?” ripeté con disgusto inspirando a fondo. I tre esitarono, se non altro per quel bagliore improvviso che un essere umano comune non sarebbe stato in grado di emanare e Ren si avvide come il dubbio iniziò ad insinuarsi nelle loro espressioni inizialmente aggressive. Divorò i pochi metri che ancora lo separavano da quel gruppetto di teppisti e dal momento che nessuno di loro osò ribattere alle sue parole, proseguì sempre più beffardo. “Sei cieco e sordo, razza di somaro! Il tuo cervello non distinguerebbe un elefante da una lumaca!” si avvicinò ancora di più. “… e l’ignoranza uccide, amico!” gli sibilò direttamente sul volto. L’altro non fece in tempo a reagire, nemmeno per rendersi conto di quanto reale fosse la minaccia, ma l’incapacità di comprendere totalmente la natura di colui che aveva interrotto il divertimento, gli fu decisamente fatale.

Ren si mosse con rapidità, persino per il vampiro che lo stava affrontando. La mano scattò verso il torace del malcapitato, sfondandolo con un colpo deciso. Lo sterno si spezzò con uno schiocco secco e la carne venne lacerata con uno strappo disgustoso. La mano si mosse senza esitazioni, affondando nei tessuti morbidi, strappando vene ed arterie, arrivando direttamente al centro pulsante dell’essere. Ren afferrò il cuore, stringendolo in una morsa sadica. “Basterebbe poco, solo una leggera torsione del polso e tu verresti ridotto in polvere” sussurrò al vampiro mentre questi, attonito, osservava il braccio affondato nella propria cassa toracica. Quando alzò lo sguardo su di lui, il vampiro aveva gli occhi sgranati e dalla bocca aperta colava un rivolo di saliva rosea, la quale gli imbrattò ulteriormente il mento ed il davanti della felpa.

“Mi hai sentito? Hai capito che cosa ti ho detto, sacco di letame?” Il vampiro annuì un paio di volte, aprendo e chiudendo la bocca senza riuscire a trovare la forza per parlare. Gli altri due si erano già dileguati fra le ombre, lasciando il compare da solo ad affrontare quella furia dall’apparenza umana.

“Ti lascio andare. Non m’interessa distruggerti, ma ti consiglio vivamente di non incrociare nuovamente il mio cammino. Se mi vedi per strada, cambia marciapiede, anzi… cambia quartiere e se proprio vuoi vivere tranquillo, cambia città.” Il vampiro annuì di nuovo e Ren lo lasciò andare. L’orrendo risucchio che provocò la sua mano, mentre la estraeva dalla carne martoriata, provocò un conato di nausea all’altro, costringendo Ren ad un passo all’indietro per evitare che gli vomitasse addosso. Attese con pazienza che il vampiro si svuotasse le viscere, lasciando che il chiarore, il quale lo aveva illuminato fino a quel momento, svanisse lentamente insieme alla sua rabbia. Il reietto avrebbe ubbidito, il terrore che gli aveva letto negli occhi era stata una garanzia più che sufficiente. Il vampiro smise di rigettare qualunque cosa si fosse trovata nel suo stomaco e dopo una fugace occhiata al tizio che lo aveva quasi ammazzato, si dileguò in fretta, sparendo fra le ombre come gli altri.

L’aria nel vicolo divenne pesante ed umida, si appiccicò alla pelle di Ren, incollandogli i capelli sulla fronte. Sottili ciocche candide scivolarono dal nodo sulla nuca, guizzando lievi in avanti quando si chinò sulla massa informe e sudicia, ancora raggomitolata per terra. Non capì subito che cosa fosse. Poteva solo presumere che si trattasse di un essere umano, visto che aveva due gambe infagottate in pantaloni informi e degli anfibi ai piedi. Anche se sembravano troppo piccoli per appartenere ad un adulto.

Oh no, un ragazzino…

Il disgusto gli distorse i lineamenti e la sua rabbia per un momento si riaccese. Prendersela con un adolescente! Se i vampiri non fossero già spariti, li avrebbe annientati per il solo fatto di aver osato attaccare un mortale. Represse l’ira e la repulsione per il sudiciume sparso su quel corpo magro e cercò di allungare una mano per scostare il bavero del cappotto lacero, ma l’essere si ritrasse con un gemito, avvolgendo il capo fra le braccia come per paura di essere nuovamente percosso. Due polsi spuntarono dal bordo delle maniche sfilacciate. Due polsi sottili ricoperti da strati di sudiciume.

“Non ti farò niente, voglio solo aiutarti…” iniziò esitante, avvertendo chiaramente il terrore percorrere ad onde continue il corpo tremante. Un altro gemito, un altro singulto.

“Per favore, se sei ferito forse posso curarti. Lasciati aiutare.” Esitò a pochi centimetri dal bavero, cercando di stabilire se, arrivando a sfiorare il tessuto, quella cosa avrebbe cercato di morderlo o di reagire in qualche modo per paura.

“Posso toccarti?” chiese con dolcezza inaspettata. Non ricevette risposta, ma d’altra parte non se ne aspettava una.

“Sto per scostarti il bavero del cappotto, lasciami verificare se hai delle ferite. Va bene?” Prese l’ulteriore silenzio come un fattore positivo e si decise ad allungare del tutto la mano, in modo da arrivare al tessuto. Con delicatezza, pochi millimetri alla volta, smosse la stoffa pesante da quello che doveva essere il volto, mantenendo sotto controllo la tensione delle braccia che la vittima teneva ancora avvolte intorno al capo. Nessun guizzo. Nessuna ulteriore tensione.

“Puoi abbassare un pochino le braccia, così riesco a vederti?” La leggera nota cantilenante nella sua voce produsse l’effetto voluto e gli arti del fagotto si rilassarono visibilmente, permettendogli di arrivare a denudare il volto. Ren trasalì, mentre l’orrore e la pena si rinnovavano nel suo animo. Una ragazza…

Nonostante il sudiciume ed il fatto che un grumo di capelli, impiastricciati dallo sporco e dal sangue, le nascondesse parte del viso, era inequivocabilmente una ragazza. Ren trattenne a stento una feroce imprecazione.

“Per la foresta vergine! Che cosa ti hanno fatto quei criminali?” Tentò di prenderla per le spalle e sollevarla con delicatezza, ma si ritrovò fra le mani un peso morto. Non che lei lo fosse. Aveva gli occhi aperti, catatonici, ogni tanto sbatteva le palpebre per mantenere le cornee umide, ma questo fu l’unico segno che dimostrò il fatto che fosse ancora viva. Viva e in uno stato traumatico pietoso. Forse capiva cosa le stava accadendo o forse la disperazione era arrivata a un livello tale da soffocare qualsiasi tipo di reazione.

“Puoi parlarmi?” Il fatto che non rispondesse, non sorprese Ren più di tanto. La sollevò senza sforzo, incurante dello sporco che gli avrebbe insozzato gli abiti dal taglio impeccabile. D’altra parte, aveva già contribuito ampiamente da solo a rendere il proprio aspetto impresentabile. Tellera avrebbe protestato anche per questo. Per gli abiti, per il ritardo e per quello che stava per fare. Il trench svolazzò nuovamente intorno a lui quando si raddrizzò, portandosi appresso il fagotto lercio e inerte. E fu solo in quel momento, nell’esatto istante in cui avendola fra le braccia, con il capo ribaltato all’indietro e penzolante oltre il bicipite, che riuscì finalmente a vederla bene in volto, l’attimo in cui si rese conto dei canini prolungati ed appuntiti che le adornavano la bocca semiaperta.

2 – La vampira

“Merda!” sibilò, trattenendo a stento l’impulso di lasciarla andare. Lei si agitò appena, come se avesse sentito l’improvvisa repulsione provata da Ren. Mugugnò qualcosa d’incomprensibile e lentamente alzò il capo e volse gli occhi su di lui.

Una vampira…

Ren non aveva dubbi, non ne aveva più almeno, semmai ne avesse nutriti prima e semmai i suoi sensi fossero stati così ottenebrati dalla propria stupida compassione, da non rendersi conto della reale natura del fagotto, in quel momento cessò di averne. Aveva appena salvato una vampira dall’aggressione di altri vampiri e una simile ingerenza, nei fatti di un’altra razza, era una chiara violazione del trattato di Non Belligeranza fra le Specie. Ma come avrebbe potuto rendersene conto prima?

Cielo!

Avrebbe dovuto! I duecento anni che aveva alle spalle avrebbero dovuto garantirgli una perspicacia maggiore. Ren si diede mentalmente dell’idiota, mentre incrociava lo sguardo con quello di lei. Se non si fosse lasciato prendere dalla propria ira e avesse usato i sensi che Madre Natura gli aveva così generosamente fornito, se ne sarebbe sicuramente accorto. Avrebbe capito l’esatta natura degli aggressori e dell’aggredito. Una lacrima rosea scivolò lungo le guance della fanciulla, lasciando un solco fra lo sporco che le imbrattava il viso. Un’unica lacrima solitaria, racchiusa in quel mare scuro che erano i suoi occhi sgranati. Occhi che parevano essersi spenti davanti alle crudeltà del mondo. Occhi che forse avevano visto troppo e troppo presto. Quindi il capo le ricadde di nuovo, restando inerte e penzoloni oltre il braccio dell’uomo. Ren rimase per qualche secondo a guardarla, indeciso se lasciarla andare in quel vicolo, abbandonandola al suo destino, o se essere idiota fino in fondo e soccorrerla, dal momento che ormai il danno era stato fatto. Non s’illuse, nemmeno per un momento, che l’indomani l’episodio non sarebbe arrivato alle orecchie degli Anziani, considerando che, sicuramente, i tre vampiri lo avrebbero denunciato per aggressione al Sommo Consiglio. Costringendo lui a dover rispondere del proprio operato, mettendolo in condizioni di dover dare una giustificazione sul perché non avesse tenuto a freno l’impulso di correre in aiuto di qualcuno che non ne aveva bisogno. Non conosceva le abitudini dei vampiri, tuttavia, il fatto che fosse profondamente ignorante in tal senso, non lo esonerava dal farsi i fatti propri e soprattutto, non gli dava diritto d’intervenire in questioni che non lo riguardavano. Ma il fatto che la sua ingerenza avesse in qualche modo impedito ai tre di portare a termine il proprio compito, qualunque esso fosse, lo aveva posto in una posizione difficilmente difendibile.

Ren era fin troppo riconoscibile, sarebbe bastata una minima descrizione del suo aspetto per ricondurre i sospetti su di lui. Fra il suo popolo erano in pochi ad avere la sua notevole altezza, in pochissimi a poter vantare un fisico imponente come il suo ed ancora meno quelli che possedevano una capigliatura lunga ed argentata come quella che normalmente fluiva sulla sua schiena. Il suo sangue, incontaminato da generazioni, gli aveva garantito quell’aspetto, leggendario anche per il suo popolo. Aveva un viso dai tratti affilati e decisi, aristocratici ed arroganti, che imprimevano un’impronta chiara sulle sue origini nobili. Gli Unviel potevano contare sulla totale mancanza di contaminazioni nella propria linea genealogica, rimanendo fra le pochissime famiglie privilegiate nelle quali il potere della Specie scorreva ancora libero e puro.

Tutto questo aveva avuto il suo prezzo. Un prezzo estremamente alto e gravoso che aveva portato, inevitabilmente, altre famiglie a rinnegare il Patto di Conservazione, decidendo di mischiare i propri eredi a chiunque fosse stato in grado di garantire loro una discendenza. Ren era sterile, come chiunque altro della sua famiglia e il solo fatto che fosse nato, era già stato di per sé un miracolo, l’ennesima dimostrazione di quanto potere avesse avuto suo padre. Ren era sterile e destinato a vedere scomparire il proprio ramo famigliare, senza poter fare nulla per opporsi a questo destino. I suoi duecento anni non erano serviti a trovare un rimedio sicuro che potesse garantirgli degli eredi. E l’educazione ferrea e crudele impartitagli dal padre, gli aveva instillato una tale avversione nei confronti delle altre specie, da sottrargli qualunque possibilità di potersi accoppiare con chicchessia. Persino Tellera, la sua compagna ufficiale, aveva subito lo stesso indottrinamento e subiva lo stesso destino. Non avrebbero avuto figli. Mai.

Spesso Ren si era chiesto se fosse stato giusto imporre ad entrambi una simile condanna, solo per preservare il potere originale. Un potere destinato comunque a scomparire, non appena fosse giunto il loro tempo. Non ne avevano discusso insieme, non avevano mai ritenuto opportuno addentrarsi in una discussione che non li avrebbe condotti a una soluzione. Erano piuttosto giunti, alla fine, tacitamente a un accordo e a rendersi conto che nessuno dei due avrebbe osato lasciarsi toccare da qualcuno, il quale non appartenesse ad un ramo altrettanto puro dei loro. L’educazione impartita li aveva resi avversi a qualsiasi altra razza ed i pregiudizi, assorbiti attraverso dure ed estenuanti lezioni, avevano sicuramente inibito qualsiasi tentativo di procreare con rappresentanti di altre specie. Tuttavia, Ren a volte si era chiesto come poteva essere accoppiarsi con qualcuno che non fosse stato come lui. Aveva cercato di sfruttare la propria immaginazione per tentare di comprendere le sensazioni che avrebbe potuto provare, avendo sotto di sé un’umana, una vampira, una demone… Una qualunque femmina meno fredda ed indifferente di quanto lo fossero quelle del suo popolo. Purtroppo, per quanto provasse a sforzarsi, nulla della sua centenaria esperienza poteva venirgli in aiuto per comprendere qualcosa che non aveva mai sperimentato. E non sapendo effettivamente cosa poteva essersi perso nel corso degli anni, non sentiva nemmeno la necessità di dover cambiare quello stato di cose, anche se, in fondo al proprio animo, sospettava che il fuoco che covava all’interno del proprio essere, dovesse pur servire a qualcosa. Quindi né lui né Tellera avevano mai cercato partner alternativi al loro rapporto. E dal momento che non sarebbe cambiato niente, dovendo scegliere fra i personaggi disponibili nei loro ranghi, non aveva senso nemmeno il tradimento. Questo era forse l’unico motivo che li teneva ancora insieme, che li poneva nelle condizioni di ricercare l’uno la compagnia dell’altra. Oltre ad un ovvio affetto, dovuto principalmente a quel vivere insieme da quasi un secolo.

Ren osservò ancora il volto smunto ed emaciato dell’essere che teneva fra le braccia e si chiese per l’ennesima volta che cosa avrebbe dovuto farne. E fu quella lacrima a farlo decidere. Quella chiara e palese manifestazione di una sofferenza interiore. Non la pelle tesa sugli zigomi o le guance incavate e denutrite. Non le labbra esangui e screpolate, arricciate su quei canini sporgenti ed affamati. Nemmeno quegli occhi lucidi e spiritati che parevano spalancati su un mondo estraneo, fatto di ombre indistinte. Nulla lo impietosì come quel sottile rivolo che le era sceso lungo il volto. Soffocò l’ennesima imprecazione e, tenendo ben stretto il fagotto contro il proprio corpo caldo, lo trasportò senza alcuna difficoltà fino a casa. Non aveva idea di cosa avrebbe raccontato a Tell e come lei l’avrebbe presa, ma lasciare quella povera vittima a se stessa, condannandola a morte certa, era fuori questione. Non l’aveva strappata dalla crudeltà dei suoi aggressori per poi abbandonarla nuovamente, solo perché era impensabile che un vampiro potesse essere salvato da un elfo. Non quando era scritto a lettere cubitali, nella storia di entrambe le razze, l’atavica inimicizia che li aveva spesso e volentieri portati sull’orlo di una distruzione fratricida.

La leggenda li voleva sorti da un’unica radice comune, due facce di un’unica medaglia. Creature del giorno da una parte e creature della notte dall’altra. Entrambi erano aspetti di una Madre naturale che aveva racchiuso crudeltà e compassione in un tutt’uno, adattabile a tutte e due le fazioni. E come spesso accadeva in questi casi, esseri simili, seppur diversi, finivano per trucidarsi, cercando di imporre all’altro il proprio diritto alla sopravvivenza. Forse, se si fossero resi conto di quanto avevano in comune, forse avrebbero smesso di odiarsi tanto… o forse avrebbero finito per distruggersi del tutto. Bevitori di sangue gli uni, bevitori di nettare i secondi. Se i vampiri dipendevano da quanto scorreva nelle vene degli esseri viventi, gli elfi si nutrivano esclusivamente della linfa preziosa che scorreva nelle piante e non si poteva certo dire che non fosse una forma di vampirismo anch’essa. Entrambi possedevano il potere ammaliante per soggiogare altri esseri al loro volere, la capacità di irretire le menti per trarne vantaggi personali. Ed entrambe le razze riscontravano le stesse difficoltà per riuscire a perpetrare la propria specie, ricorrendo a mezzi alternativi per non subire un’estinzione. I vampiri trasformavano esseri umani in qualcosa di simile a loro e gli elfi si accoppiavano con gli stessi umani, per riuscire ad ingravidare femmine ignare. Entrambi perdevano in potere e purezza. La magia della Terra s’imbastardiva ad ogni passaggio, riducendo la progenie, nata da tali connubi innaturali, in un’anomalia destinata a diventare essa stessa reietta, privata di ogni legittimità per poter appartenere a questa o ad altra specie.

Ren sapeva tutto questo e sapeva bene che portarsi a casa una vampira, seppure in condizioni pietose e pressoché morente, non era esattamente la scelta più saggia che avrebbe potuto fare. Ma l’irresistibile tentazione che lo aveva colto fin dal principio di quell’inopportuna avventura, lo stava conducendo immancabilmente verso un fato a cui non era sicuro di potersi sottrarre e con quel senso di ineluttabilità che gli strisciava addosso, fastidioso ed inquietante, entrò in casa, cogliendo immediatamente l’espressione perplessa sul volto di Tell.

“Che cosa hai combinato questa volta?”

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