Questione di classe

Questione di classe

Quando la classe fa acqua da tutte le parti.

Mio padre, pace all’anima sua, aveva un solo grosso difetto. E per quanto io l’abbia amato moltissimo e lo abbia rimpianto molto, soprattutto dopo, su un determinato argomento non sono mai riuscita a essere concorde con lui. Con il passare del tempo ho compreso bene le sue motivazioni e le sue intenzioni.

Tuttavia allora (come adesso), non solo non le condivisi, ma arrivai a far diventare tale argomento lo spunto primario per iniziare una ribellione adolescenziale in piena regola. Con tanto di fughe da casa, dall’istituto religioso in cui ero stata rinchiusa e tanti altri atteggiamenti, spesso persino lesivi. In ogni caso, ciò che mio padre mi ripeteva sempre, era: “Ricordati che appartieni a una buona famiglia e che non è consono, per te, frequentare persone di un ceto sociale diverso dal tuo”…

Orrore! Ebbene, il sciur Maino, proveniente dalla classica borghesia milanese dei primi anni ’70, altrettanto classico commendatore e rampante proprietario di una fabbrica in Brianza, probabilmente non voleva apporre delle barriere sociali, ma nella sua mentalità, da uomo benestante del dopo guerra, l’appartenere a una “buona famiglia” aveva connotazioni ben precise. Ovvero andare in collegio dalle suore, suonare il pianoforte, fare corsi di danza classica e, per le più emancipate, seguire le sessioni invernali di una scuola di sci a Cortina.

Nella sua logica di padre, l’appartenere a una “buona famiglia” era sinonimo di serietà, di rigore morale e di rispetto verso gli altri. E questo perché era lui a interpretarlo in questo modo, essendo nato, cresciuto e vissuto con questi principi… peccato che la realtà fosse ben diversa. I miei coetanei, o conoscenti poco più grandi, non erano altro che figli viziatissimi di genitori che, a loro volta, scoprivano un mondo nuovo in cui il benessere e la libertà di costumi permetteva qualsiasi idiozia.

E i figli, cresciuti con tate e governanti varie, non erano altro che lo specchio dell’improvviso egoismo dei propri genitori. Persone che, una volta cresciute, non hanno fatto altro che rimandare alla propria progenie il culto dell’apparire, dell’effimero, dell’inutile. Ed io, pargola ribelle, al posto di frequentare rampolli blasonati o futuri dirigenti in erba ( … tagliata persino con la salvia) ed eredi di imperi industriali, preferivo la compagnia più genuina di coloro che, a detta di papà, non avrei dovuto frequentare.

Detto questo, e molto altro ancora ci sarebbe da dire di quegli anni ribelli, ciò che mi sono sempre chiesta era: possibile che un uomo buono, con le sue capacità e doti naturali, non si rendesse conto dello sfacelo morale che lo circondava? Possibile mai che, quegli anni, abbiano ottenebrato il cervello alla maggior parte della popolazione?

Purtroppo sì. E gli effetti deleteri si vivono ancora adesso, a distanza di quarant’anni.

© 2015 di Irma Panova Maino

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