Soffrire vuol dire vivere

Soffrire vuol dire vivere

La sofferenza e la morte sono spesso viste come le sorellastre che ci accompagnano nel corso della nostra esistenza. Le ombre malevoli e costanti che rendono le nostre giornate disastrose e “pesanti” da vivere.

Tuttavia, riuscire a scorgere il lato positivo di entrambe, offre un nuovo spunto per godere di ciò che si ha. Solo le persone “vive” possono soffrire, gioire e, di conseguenza, morire. Coloro che hanno già rinunciato a tutto, che hanno fatto della depressione e dell’indifferenza dei baluardi dietro ai quali trincerarsi, non riescono a cogliere nulla, o quasi, di quanto li circonda.

Il dolore è solo uno stato momentaneo con cui l’animo impara presto a fare i conti. Dalle piccole delusioni che si affrontano in età puberale, fino a quelle più strazianti che si subiscono in età adulta, tutto concorre a renderci vivi. Il tempo lenisce, guarisce e conforta e nulla è destinato a durare per sempre. Eppure, nonostante questo, gli attimi spesi nel dolore sembrano più lunghi, più dilatati e diventano ancora più intensi quando ci si sente soli. Ma soli lo si è perché i battenti del nostro esistere sono stati chiusi per poter sopportare quanto si sta patendo. In realtà, al di là di essi, esiste un mondo pronto ad accoglierci e a farci soffrire ancora.

Ma per cosa si soffre? Per amori perduti, persone andate, cose disperse e affetti lasciati cadere nell’oblio? La sofferenza è relativa e non sempre nasce da sentimenti effettivi. A volte matura e scaturisce da motivazioni molto più materiali e viene distorta da fattori egoistici. Quanto spesso capita di non accettare un allontanamento solo perché ci viene tolto il nostro giocattolo preferito, o l’oggetto che forniva sicurezza e benessere?

A volte, invece, la sofferenza fermenta in ambienti che non lasciano spazio alle alternative, attraverso atteggiamenti che portano a straziare gli animi, segnando profonde cicatrici che restano come solchi in un terreno divenuto arido. Eppure, in quegli stessi solchi, con un po’ di pazienza e di impegno, è possibile far germogliare nuova vita, nuove gemme che possono portare a credere nella miracolosa essenza della vita.

Solo i vivi soffrono, i morti non lo fanno più.

I morti, anche quelli che ci camminano a fianco tutti i giorni, non provano più niente, non sono in grado di apprezzare il sorgere del sole e il tramontare dello stesso; non colgono l’odore di un’umanità presente, giocosa, noiosa, rumorosa e caotica e non comprendono i desideri di chi sta loro accanto. Non vivono, vegetano spendendo le ore della loro esistenza in quella abulica sensazione di sconfitta con la quale appestano anche chi sta loro vicino. Ammorbano l’aria con la negatività delle loro sentenze lapidarie, condannando chiunque spenda energie per dare pennellate di colore in una vita che, altrimenti, sarebbe grigia e inutile.

Ma io sono viva, invece. Lo sono fin nel profondo del mio midollo osseo, fin dentro ogni molecola del mio aver vissuto e sofferto, pianto e gioito. Sono viva e sorrido a ogni mio risveglio, anche se la giornata pare grigia e l’aprire gli occhi significa affrontare tutti i problemi che una giornata qualunque è in grado di offrire.

Sono viva… e questo mi basta.

© 2015 di Irma Panova Maino

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